Era l'uno e Matilde tornava casa, come sempre a piedi. L'oscurità non la impressionava, ci era oramai abituata. E comunque lo stradone a tre corsie con i suoi marciapiedi ampi e li continuo via vai di taxi e pullman la rassicurava. L'unica preoccupazione era quella gonna sopra il ginocchio, che ad ogni passo ondeggiava un poco, alzandosi di lato lasciando intravedere la coscia. Agli uomini basta poco, si sa. Per questo camminava come un ghiacciolo, mani lungo i fianchi e schiena dritta, cercando di ondeggiare il meno possibile. Una coppia con un cane attraversava la strada mentre un affezionato cliente usciva dal locale a fumarsi una sigaretta cercando di mantenersi in piedi. Arrivata alla piazza della stazione, Matilde si accorge che, nonostante sia l'una passata, gli skater sono ancora la a tentare di stare in equilibrio in posizioni dis-umane su spigoli sottili quasi inesistenti, sfidando Newton e le sue mele. "Instancabili, cazzo". Lei invece era stanca e parecchio. Veniva da un compleanno, con cinema e cena fuori annessi, senza risparmiarsi discussioni varie di politica con il proprietario del ristorante, un napoletano emigrato vent'anni fa che, data la sua lontananza dai problemi nazionali, di politica interna non ne capiva una mazza, ma non per questo si risparmiava un'accanita difesa del Signor B. Il tutto arrangiandosi più o meno con la lingua, visto che il congiuntivo nella sua bocca assumeva le sembianze di uno spillo pronto a rigare le orecchie.
E forse, quello che è successo dopo, è stato colpa anche della stanchezza.
Girato l'angolo, strada deserta, casa. Matilde camminava veloce, passando sotto le luci dei lampioni, immersa nella sua testa, quando dei passi la distraggono. Si ferma. Alza la testa, si gira. C'era un uomo dall'altra parte del marciapiede. Panico. Matilde entra in panico. Prima volta che si trova di fronte a questa situazione, non sa che fare, ma quell'uomo dietro di lei le provoca un fastidio fisiologico. Le prudono le mani. Ad un tratto però, lampo di genio. L'unica cosa che doveva fare era fermarsi e vedere cosa avrebbe fatto il possibile molestatore. Se avesse continuato per la sua strada, niente panico, stupro sventato. Se invece si fosse fermato anche lui, a quel punto con ogni diritto il panico avrebbe avuto il sopravvento. Così Matilde si fermò di fronte ad un portone, facendo finte di cercare le chiavi di casa. Un occhio nella borsa e l'altro inchiodato al tipo dall'altra parte del marciapiede che improvvisamente si ferma. "Merda!". Matilde a quel punto lasciò perdere la borsa e il teatrino di cui era la regista, girandosi verso di lui. Il cervello cominciò a ragionare alla velocità della luce mentre un fischio assordante le tappava le orecchie. "Che faccio?". Il panico regnava già sovrano. Lui la guardava mentre attraversava lentamente la strada, cercando qualcosa in tasca. Matilde cominciava a sudare, e la voce non le usciva e la testa cominciava a girarle. Lui era oramai di fronte a lei, le mani sempre in tasca, cercando di tirare fuori quel qualcosa che si era incastrato nelle cuciture della felpa. Sono un di fronte all'altro quando lui riesce a scastrare l'oggetto misterioso. A quel punto sfodera un mezzo sorriso, guarda lei, oramai pallida e senza fiato, le dice "Hola!", sfodera dalla tasca della felpa un mazzo di chiavi e apre il portone davanti al quale Matilde si era fermata mettendo in scena il suo atto principale.
Matilde sta per avere un infarto. Risponde al saluto con un filo di fiato, mentre si allontana verso casa sua, verso il suo vero portone.
E questa è Matilde, la malfidente.
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