14 dicembre 2010

Il rumore freddo delle forchette buttate nel cassetto mi graffia le orecchie. Il ragazzo inglese fischietta nascosto nella rossa penombra della cucina mentre le suole delle sue sneakers usurate dal tempo e dai viaggi stridono slittando sul pavimento bagnato. 
La sala è quasi vuota, davanti a me solo due ragazzi che si abbracciano con tanta tristezza negli occhi. Le loro mani scivolano tra i capelli mentre il mio cafelatte si raffredda. Il fumo si diffonde nell'aria intrecciandosi con le note dei Pink Floyd. Inutile specificare il titolo. 
Il tempo della mia pausa intermedia dal lavoro non è molto, ma decido io che ritmo prende e oggi è scandito dalle ondate di persone che si rigettano nelle strade.
Dall'altra parte del vialetto mi accorgo della vetrina mal illuminata di un ren che passa quasi inosservata agli occhi dei passanti.  Dietro lo schermo del portatile si nasconde il proprietario brizzolato, seduto come di routine alla sua scrivania. Nelle lenti si rispecchiano offerte di viaggi in posti esotici. Nella sua mente viaggia l'idea delle meritate vacanze e l'abbozzo di un sorriso gli si imprime sul volto. Ricordi di gioventù, di mare freddo e vento caldo, di sabbia tra le mani e di labbra di donne mai più riviste. 
Lentamente alza le mani dalla tastiera e le appoggia sulle ginocchia, sembra il direttore d'orchestra che si prepara prima di salire sul palco. Chiude gli occhi, respira profondamente gonfiando il petto come i galli e buttando fuori aria dalla bocca. La gente continua a passare per la strada mentre la sera cala tranquilla sul cielo di Barcellona. Con gli occhi chiusi, si alza e muovendosi alla perfezione nel suo spazio si stiracchia la schiena, le braccia. Si riscalda le mani sfregandole tra loro mentre si dirige verso un sottoscala di legno. Una calma disarmante la sua unica compagna. Come un sacro rituale tira fuori dal sottoscala la chitarra e comincia a suonarla. Tenendo il tempo con i talloni e molleggiandosi lentamente sulle ginocchia, passeggia su e giù per il locale. Gli occhi ancora chiusi, suona per sé mentre pacchetti e sciarpe sfrecciano veloci sui ciottoli della strada rapiti dal classico raptus di consumismo che coglie ogni essere umano in questo periodo, il natale. Non c'è tempo per fermarsi e guardare lo spettacolo. Una mano mi tocca la spalla per chiamare la mia attenzione e mi riporta alla realtà. I due ragazzi sono spariti, le luci della sala più basse e il cameriere che mi porta via la tazza ormai fredda. Gli sorrido, mi rigiro e lui è ancora là. Si gira, ha gli occhi aperti. Mi vede e mi sorride. Sono diventata il suo unico pubblico, l'unica spettatrice di quel concerto solista suonato in una bottiglia in mezzo al mare, completamente silenzioso e invisibile. Nella mia mente suonano le note di Tracy, nella sua non saprei, ma non è questo quello che importa. Il cellulare che vibra cadendo dal tavolo mi costringe a mettere in pausa la performance. Quando mi rigiro il signore è sparito, il locale è vuoto con la saracinesca serrata. Un silenzio aspro mi avvolge come una nube, fischiando nelle orecchie le ultime note. Stavo per dimenticarmi di tutto quando alzo lo sguardo e lo vedo là, prima dell'angolo si volta nella mia direzione e mi sorride prima di girare l'angolo e buttarsi nella folla, con la sua chitarra sottobraccio. 

2 commenti:

  1. bè.. che dire... molto bello...intenso... scritto bene (sbaglio o stai facendo più attenzione agli errori?)... mi è sembrato di vederti lì con il tuo cappuccio freddo...brava poetessa mia

    molto bello anche il precedente ma (non ti offendere non è una critica la mia è deformazione professionale) sbaglio o all'inizio lui si siede su una panca e poi si alza da una sedia? dislessia visiva...

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  2. Gracias Mamà.
    Ora rileggo più e più volte quello che scrivo, a qualcosa serve!

    Nel primo post, si siede su una panca, ma si alza facendo leva su UNA sedia, non la sua. Precisamente era un tavolo, con tre sedie e una panca.
    Ma se è ancora strano dimmi quello che non ti convince.
    Besitos

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