05 dicembre 2011

HAVE YOU EVER SEEN THE RAIN

- Se almeno smettesse di piovere riuscirei a pensare senza tutto questo rumore di sottofondo.

Immaginate. Immaginate una ragazza, sola, sotto una battente pioggia gelida.

- Appena arrivo a casa mi faccio un toast con le sottilette e un the caldo. Mi sto congelando i piedi.

È senza scarpe. Le ha perse nel capannone, forse scendendo dalla macchina o quando la rincorrevano i

ragazzi. Sembra un’orfanella alla fermata dell’autobus. Solo che qui non c’è nessuno, solo una strada buia

costeggiata da campi impantanati. Cammina seguendo la linea bianca sul costato dell’asfalto nero pece.

- Devo chiamare Viola, le scappa a voce alta.

Tastandosi le tasche del vestito in cerca del cellulare si accorge di non averlo. Quello lo aveva perso nel

pantano del rave, mentre saltava giusto sotto il palco, con gli altoparlanti che le perforavano i timpani.

Il giorno prima era stanca, tornava da danza e non aveva voglia di andarci. Ma suo fratello aveva insistito così

tanto che alla fine aveva ceduto.

-Se non vieni tu i miei amici non mi danno un passaggio in macchina e se devo prendere il furgone di papà

poi non posso bere e mi rovino la festa.

-Ok, si era limitata a dire.

Non le erano mai piaciuti gli amici di suo fratello, erano male educati e ruttavano senza vergogna davanti a

tutti. E poi si drogavano e quello che non si facevano lo vendevano ad altra gente per poi comprarsi altra

roba con i soldi guadagnati. Una volta era uscita da scuola due ore prima, alle dieci. Credeva non ci fosse

nessuno in casa ma la saracinesca del garage era socchiusa. Se la sarà dimenticata papà andando al lavoro.

Ma sollevandola si trovò di fronte il tavolo di plastica bianco del giardino completamente pieno di sacchetti

trasparenti di ogni dimensione, un bilancino microscopico di alluminio e tanta, tantissima polvere bianca

raggruppata a mucchietti a forma di cono. Suo fratello e i suoi amici stavano “smazzando”, così lo

chiamavano loro. C’erano anche delle ragazze mezze nude e con delle occhiaie violacee sotto gli occhi.

Non aveva detto niente a suoi, quelli erano affari di suo fratello e a lei non importavano. Anche perchè se gli

avesse detto qualcosa, lo avrebbero certamente rispedito in clinica. E sarebbe stata la quarta, no la quinta

volta.

Quella sera avevano drogato anche lei. Il cuba libre che stava bevendo era diventato amaro e tutto d’un tratto

aveva una schiuma bianca sulla superficie. Poi aveva cominciato ad avere caldo e voglia di ballare. La musica

faceva schifo ma sentire i bassi che le rimbalzavano dentro il corpo era piacevole e divertente.

Vide suo fratello andarsene nel bosco con la sorella di un suo amico, una tizia che ogni tanto si faceva. Era

bella ma se la erano passata quasi tutti, a volte era consenziente e a volte no.

-La prossima sei tu.

Si voltò ma non c’era nessuno.

-È ora di andare!

-Cosa?

-Che é ora di andare!!

-Ok, cerco mio fratello

-È già alla macchina, andiamo.

Si incamminarono nello spiazzo fangoso, con una torcia elettrica. Lei e altri tre. Aveva voglia di continuare a

ballare, alla fine non era poi tanto male quella festa. Quando trovarono la macchina si accorse che era buia a

vuota.

- Magari sta dormendo sul sedile posteriore, pensò. Ma era ovvio che se suo fratello stava dormendo da

qualche parte, quella parte era nel bosco con la sorella del suo amico.

Stava in piedi nel capannone, i fari puntati contro, le portiere aperte e musica altissima. I ragazzi si stavano

bevendo una birra e aspettavano che le salisse l’effetto della seconda dose che le avevano dato. Quando

cominciò a ridere da sola, i ragazzi si guardarono tra loro e risero a loro volta. Cominciò il più grande di tutti

e di seguito gli altri due.

Quando ebbero finito la lasciarono sul ciglio della provinciale, in un posto indefinito nel mezzo del buio.

Era domenica e pioveva.

-Per lo meno mi sono tolta un peso. Così è stato molto più facile, niente domande niente risposte. Semplice

e veloce. Sono una donna adesso, devo raccontarlo alle ragazze, non ci crederanno.

Poi vide davanti a sé la sua ombra affusolata proiettata sull’asfalto bagnato. I fari di una macchina. Domenica

notte, su una provinciale. Non prospettava bene come cosa, ma dopo tutto quello che le era successo quella

notte non aveva più paura di nulla.

La macchina rallenta. Un tizio abbassa il finestrino e si sporge sul sedile del passeggero.

-Ti do uno strappo, baby?

Non risponde, guardava dritto di fronte a sé.

Poi si ferma. Si guarda indietro, aveva fatto si e no un chilometro in una ora. Guarda il cielo, nessuno a

guardarla, come sempre, del resto. Apre la portiera della macchina ed entra nell’abitacolo.

La macchina partì a razzo mentre il tizio alzava il volume della radio.

Trasmettevano i Creedence Clearwater Revival, Have you ever seen the rain.

03 maggio 2011

Questione di un attimo

Bruscamente la luce si incupisce, le ombre diventano velate e fulmini sfavillanti accecano lo sguardo. Conto i secondi per capire a quanti chilometri é caduta quell'invisibile saetta scoccata dal cielo. Nell'attesa tutto tace, mentre dense nubi violacee oberate di pioggia incombono sulla testa dei passanti e tuoni rimbombanti sgusciano tra i vicoli. Solo impavidi passeri solitari sfidano la natura cinguettando tra i rami degli alberi. È questione di un momento e la fragilità di quei nuvoloni si fracassa in piccole stille che invadono ogni angolo. Ci si ripara dove é possibile: un portone lasciato miracolosamente aperto o una cabina telefonica. Ogni riparo é casa. Le scrosciate piombano pesanti a intervalli irregolari sino a raggiungere il culmine di questo sfogo olimpico. Le gocce crollano impazzite sulla terra, il fracasso é bestiale e non si riesce a sentire i propri pensieri. Solo una riflessione grida con più forza del diluvio: non ho ritirato le mutande stese. E poi, con la stessa rapidità con cui é arrivato, se ne va lasciando dietro di se solo silenzio e pozzanghere mentre un'ambulanza passa lontana.

28 febbraio 2011

Questione di scelte.

La svolta è questione di piccole decisioni. Rompere la routine per creare un nuovo flusso di energia nuova e cambiare e adattarsi al cambiamento, al tempo che cambia. Pensare a se stessi nel mondo in una maniera completamente differente, guardare con altri occhi.
Oggi ho ricevuto la svolta ed è nata da una piccola decisione, semplice e fulminante. L'idea che arriva in un secondo, in quel secondo e l'unica cosa che serve è avere il coraggio di accoglierla senza opporre resistenza.
Hay que bajar hasta el fondo para resucitar otra vez, come la fenice.

25 febbraio 2011

Matilde la malfidente

Era l'uno e Matilde tornava casa, come sempre a piedi. L'oscurità non la impressionava, ci era oramai abituata. E comunque lo stradone a tre corsie con i suoi marciapiedi ampi e li continuo via vai di taxi e pullman la rassicurava. L'unica preoccupazione era quella gonna sopra il ginocchio, che ad ogni passo ondeggiava un poco, alzandosi di lato lasciando intravedere la coscia. Agli uomini basta poco, si sa. Per questo camminava come un ghiacciolo, mani lungo i fianchi e schiena dritta, cercando di ondeggiare il meno possibile. Una coppia con un cane attraversava la strada mentre un affezionato cliente usciva dal locale a fumarsi una sigaretta cercando di mantenersi in piedi. Arrivata alla piazza della stazione, Matilde si accorge che, nonostante sia l'una passata, gli skater sono ancora la a tentare di stare in equilibrio in posizioni dis-umane su spigoli sottili quasi inesistenti, sfidando Newton e le sue mele. "Instancabili, cazzo". Lei invece era stanca e parecchio. Veniva da un compleanno, con cinema e cena fuori annessi, senza risparmiarsi discussioni varie di politica con il proprietario del ristorante, un napoletano emigrato vent'anni fa che, data la sua lontananza dai problemi nazionali, di politica interna non ne capiva una mazza, ma non per questo si risparmiava un'accanita difesa del Signor B. Il tutto arrangiandosi più o meno con la lingua, visto che il congiuntivo nella sua bocca assumeva le sembianze di uno spillo pronto a rigare le orecchie.
E forse, quello che è successo dopo, è stato colpa anche della stanchezza.
Girato l'angolo, strada deserta, casa. Matilde camminava veloce, passando sotto le luci dei lampioni, immersa nella sua testa, quando dei passi la distraggono. Si ferma. Alza la testa, si gira. C'era un uomo dall'altra parte del marciapiede. Panico. Matilde entra in panico. Prima volta che si trova di fronte a questa situazione, non sa che fare, ma quell'uomo dietro di lei le provoca un fastidio fisiologico. Le prudono le mani. Ad un tratto però, lampo di genio. L'unica cosa che doveva fare era fermarsi e vedere cosa avrebbe fatto il possibile molestatore. Se avesse continuato per la sua strada, niente panico, stupro sventato. Se invece si fosse fermato anche lui, a quel punto con ogni diritto il panico avrebbe avuto il sopravvento. Così Matilde si fermò di fronte ad un portone, facendo finte di cercare le chiavi di casa. Un occhio nella borsa e l'altro inchiodato al tipo dall'altra parte del marciapiede che improvvisamente si ferma. "Merda!". Matilde a quel punto lasciò perdere la borsa e il teatrino di cui era la regista, girandosi verso di lui. Il cervello cominciò a ragionare alla velocità della luce mentre un fischio assordante le tappava le orecchie. "Che faccio?". Il panico regnava già sovrano. Lui la guardava mentre attraversava lentamente la strada, cercando qualcosa in tasca. Matilde cominciava a sudare, e la voce non le usciva e la testa cominciava a girarle. Lui era oramai di fronte a lei, le mani sempre in tasca, cercando di tirare fuori quel qualcosa che si era incastrato nelle cuciture della felpa. Sono un di fronte all'altro quando lui riesce a scastrare l'oggetto misterioso. A quel punto sfodera un mezzo sorriso, guarda lei, oramai pallida e senza fiato, le dice "Hola!", sfodera dalla tasca della felpa un mazzo di chiavi e apre il portone davanti al quale Matilde si era fermata mettendo in scena il suo atto principale.
Matilde sta per avere un infarto. Risponde al saluto con un filo di fiato, mentre si allontana verso casa sua, verso il suo vero portone.
E questa è Matilde, la malfidente.

21 febbraio 2011

E poi è arrivato il vento capace di sussurrare alle cose convincendole a seguire il suo cammino. Si porta via realtà, convinzioni, gesti, ogni cosa. Non fa distinzione tra bianco e nero, tra grande o piccolo. Ho visto venti portarsi via elefanti di mille tonnellate e far fatica a trascinarsi dietro un foglio di carta galleggiante in una pozzanghera. Il vento però non ruba. Semplicemente seduce e convince ma non obbliga. Ogni cosa che lo segue, fa un giro e poi ritorna, la terra rotonda.

10 febbraio 2011

Rimedi efficaci per riempirti di baci

Il mio rimedio contro qualsiasi affezione momentanea dell'anima?
Yogurt e cereali.
Chi ha stabilito che un'affezione debba essere qualcosa di triste?
Risulta che con te sia felice.
E se fosse una malattia senza cura?


06 febbraio 2011

Ora di rimboccarsi le maniche.

Ho scelto questo posto per una ragione stupida. Semplicemente qui c'è il sole. E c'è sempre.
Mi considero abbastanza viva da poter dire con sincera banalità che vivo per il sole, per la luce. E' idiota come considerazione ma è la verità: ognuno desidera, in senso astratto, avere sempre il sole nella propria vita. Tutti aneliamo alla felicità. E dal momento in cui è molto più facile essere tristi e grigi, se non possiamo avere il sole nella nostra vita, lo cerchiamo nelle nostre giornate. O per lo meno è quello che faccio io.
E vi assicuro che risulta molto più facile sorridere con il sole in faccia. Qui le persone ridono, i vecchi si tengono per mano e i giovani guardano il domani senza paure, ansie e preoccupazioni. Non che non abbiano progetti, ma semplicemente qui si vive il presente, ogni giornata fino all'ultimo respiro.
Il futuro non è nient'altro che la casuale combinazione di esperienze, pensieri e caos che vivi nel presente di ogni giorno. Il casuale scontro tra singoli universi di due persone, influenza inevitabilemente entrambe le vite. Qui la vita è presente, con tutti gli incontri possibili.
Così, dopo tutta una vita di grandi desideri e progetti mai iniziati, un giorno mi sono trovata in una casa che non era la mia, su un divano scomodo, circondata di persone che non capivo.
Ma ero felice. E lo sono ancora adesso. Ho a fianco una persona che amo e amici fedeli che mi seguono anche se a distanza. Purtroppo, però, il divano è rimasto scomodo. E per Dio, non vi immaginate quanto. Sono lontana dalla mia famiglia, noi tre, i nostri viaggi, le nostre canzoni e incomprensioni, i cinema alla vigilia e le lasagne della domenica.
Mi mancate, tanto. Vedo le mie coinquiline che i fine settimana tornano a casa dai loro e vedo i loro occhi felici, brillano. E la domenica sera, mentre io mangio la mia pizza surgelata sul divano, loro tornano piene di tapper ricolmi di cose buone cucinate dalla mamma. Questo rende le cose un pò più difficili, ma mi conoscete, sapete chi sono meglio di chiunque altro, anche se a volte mettete a dura prova questa verità assoluta, potevate aspettarmi qualcosa di facile da me? Non sono cambiata, sono sempre la teppa che alzava la mano per cercare i biscotti sul tavolo, quella che ai suoi compleanni ha sempre avuto la febbre, quella che si accovacciava sulla schiena di papà in piscina, quella che ti torturava l'orecchio per dormire, mamma.
E voi siete sempre gli stessi. Papà e i suoi giri in bici, mamma e la sua natura e la vostra quotidianità, alle otto si cena. Anche quella mi manca, ma è giusto che qui io abbia la mia, martedì cinema.
E' inevitabile, prima o poi ci cresce e si esce dalla porta principale, non dal balcone, come ho fatto qualche sabato notte mentre voi dormivate. Non sono mai stata molto disciplinata, non ho mai amato gli ordini privi di motivazioni e le imposizioni. Questo non fa di me una brutta persona, ma semplicemente una persona e basta. Siamo diversi a questo mondo, questo fa di noi persone reali. E scavando a fondo, ho scoperto che ho voglia di mangiarmi questa vita a grandi bocconi senza saziarmi mai. Ho voglia di curiosare in ogni angolo, ho voglia di apprendere, di studiare e di compartirlo con gli altri. Lo diceva Churchill, "Sono sempre disposto ad imparare, ma non mi piace sempre che mi s'insegni". Io voglio camminare, inciampare, cadere rovinosamente in mezzo alla strada, con gli occhi dei passanti addosso, rimettermi in piedi, scrollarmi la polvere di dosso, fare un inchino alla vecchia sul marciapiede e, sorridendo, riprendere a camminare. Perché l'effetto cambierebbe se qualcuno mi dicesse: "Ehi, tu. Non camminare con il naso per aria, che poi inciampi e cadi". Anche perché, una volta girato l'angolo, le ferite sulle ginocchia ci sono lo stesso perché siamo stati progettati per cadere, in una maniera o nell'altra. E il fatto che Barcellona sia piena di lavori in corso, non rende la camminata più facile.
Per questo motivo questa città mi assomiglia. Il suo passato è grande e importante, me è in un momento di riflessione sul suo futuro. Sa bene dove vuole arrivare, ha dei progetti solidi, solo deve trovare una maniera per realizzarli. Nel caso di Barcellona, deve superare questa maledetta crisi economica che si sta prolungando per troppo tempo. Nel mio caso, devo trovare i mezzi e le occasioni per far si che non siano progetti, ma realtà.
Voglio lavorare con la settima arte, il cinema. Basta pensare che quando si è piccoli, si è scemi e si pensano cose senza senso. Io da piccola volevo fare questo e da piccoli si è sinceri e incontaminati, pieni di istinto e bontà. Quindi, inutile girarci attorno con la cosa di scrivere, la psicologia e balle varie. Potranno venirmi bene come cosa, ma non mi fanno felice. Guardare un film e farmelo spiegare mi fa felice. Non so spiegarmi il perché, ma sento che è la mia strada. Questa città pratica però mi ha fatto smettere con l'illusione di "fare l'attrice". Non camperei e la strada è troppo lunga e difficile. Forse, semplicemente non ci sono portata ma per questo non ho intenzione di abbandonare il cammino. Ho appena scoperto che c'è un lavoretto interessante, che si chiama direttore di fotografia, ovvero colui che è il responsabile della fotografia nel cinema. Fotografia-cinema, sembra perfetto. Ancora non lo so, ma potrebbe.
Ma per raggiungere la mia meta, il centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, ho bisogno di superare un test che ora come ora non sarei in grado di superare, viste le mie scarse (scarsissime) conoscenze in questo campo. Ma siamo qui per imparare, curiosare e apprendere.

Questo è il mio progetto, mamma e papà.
Non fatelo svanire nel nulla.
Vi amo.